
02 Ottobre 2022
La pelle non è solo uno strato protettivo che preserva gli organi interni e li separa dall'ambiente esterno, ma anche una superficie di contatto col mondo attraverso cui immagazziniamo numerose informazioni. E lo stesso può valere anche per l'involucro dei robot: non una semplice custodia inerme per fasciare i circuiti, ma un rivestimento intelligente.
Un team tutto italiano ha pubblicato su Nature Machine Intelligence uno studio relativo proprio ad una nuova "pelle" artificiale dotata di sensori tattili e quindi capace, grazie all'IA, di localizzare e rilevare l'intensità della forza dei contatti che riceve e di quelli che imprime verso l'esterno, proprio come fanno i ricettori della pelle umana. A coordinare i lavori è stato l'Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa che ha collaborato con l’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit), le Università Sapienza di Roma, Campus Bio-Medico di Roma e Ca’ Foscari Venezia, e infine con il Centro di Competenza ARTES 4.0
Una stretta di mano: per gli esseri umani un gesto comune (un po' meno in tempi di pandemia...) e banale, per i robot una grande conquista. Ed è probabilmente lo scenario più semplice per comprendere l'importanza di questa nuova tecnologia, e le sue possibili applicazioni in vari campi. Perché un robot ci stringa la mano, infatti, è necessario anzitutto che si accorga del fatto che noi stiamo stringendo la sua, e poi è decisamente auspicabile che sappia identificare con precisione la forza che sta applicando in risposta.
Non a caso il gruppo di studiosi indica come campo primario di applicazione di questa pelle artificiale e sensibile i cosiddetti "robot collaborativi", ovvero quelli pensati per assistere e coadiuvare gli esseri umani nelle fabbriche, in campo medico, nelle pulizie domestiche e nell'assistenza di persone o animali.
Ed è quello che ha sintetizzato nelle sue parole Emiliano Schena, professore presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma, spiegando come le principali ambizioni per questo tipo di tecnologia siano “migliorare la sicurezza sul lavoro, i risultati di una procedura chirurgica, la qualità di vita di persone che hanno l'esigenza di assistenza.
Calogero Oddo, professore dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna e coordinatore scientifico dello studio, ha così sintetizzato i risultati conseguiti:
"Per la prima volta abbiamo dimostrato la capacità di sensorizzare un'area estesa e dalla geometria complessa che copre tutto l'arto robotico, grazie a sensori che offrono una raffinata risoluzione nella localizzazione del punto di contatto e nella misura dell’intensità della forza con cui il robot interagisce con l’ambiente.
Questa capacità è la stessa che permette alla nostra pelle di riconoscere e seguire una formica che ci cammina sul braccio: un'abilità che aiuterà i robot a interagire in maniera sempre più sicura con gli umani, gli oggetti e l'ambiente circostante, nell'industria 4.0 così come negli ospedali e nelle nostre case".
Per raggiungere questi risultati è stata fondamentale "l'integrazione tra intelligenza fisica e intelligenza artificiale", come sottolineato da Edoardo Sinisbadi dell'Istituto Italiano di Tecnologia: perché i sensori dialoghino tra di loro, infatti, è necessario che siano posizionati ad una certa distanza e profondità, mentre l'intelligenza artificiale si occupa poi di processare ed interpretare di conseguenza gli impulsi raccolti.
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