
18 Marzo 2022
È dei giorni scorsi la notizia dell'acquisizione di Tile da parte di Life360, società californiana impegnata da quasi venti anni nel mercato della localizzazione. E adesso due ex dipendenti gettano delle sinistre ombre sul modus operandi dei nuovi proprietari di Tile, tra le prime realtà al mondo a scommettere nel business dei tracker, ben prima che Samsung con SmartThings Tracker o Apple con gli AirTag portassero alla ribalta i piccoli accessori che promettono di non farci smarrire più nulla.
La piattaforma di Life360 conta ben 33 milioni di utenti in tutto il mondo, e nella grande mischia degli "utenti" ci sono sì adulti e ragazzi, ma anche minori. Il punto è che secondo le confessioni di due ex dipendenti, Life360 vende i dati sulla posizione a dei broker, i quali a loro volta li rivendono a terzi. E l'aspetto più inquietante della confidenza è che a differenza di altre società, Life360 non aggregherebbe i dati né ridurrebbe la precisione della localizzazione per preservare la privacy di chi si rivolge all'ecosistema per tenere traccia dei cari e di conseguenza per sentirsi più sicuro.
Life360, sempre secondo i due ex dipendenti, si limiterebbe a "pulire" i dati delle informazioni che ricondurrebbero in maniera immediata gli stessi ai singoli utenti, ma non verrebbe adottata alcuna precauzione accessoria per evitare che con un po' di olio di gomito i broker di dati o i terzi (o ancora i quarti) a cui vengono rivenduti non possano risalirvi.
In USA, dove Life360 è più diffusa che dalle nostre parti, la piattaforma sarebbe utilizzata in modo massiccio - oltre che dagli automobilisti per le funzionalità di crash detection - dai genitori che intendono conservare un occhio sui minori, e in passato la sua invasività avrebbe già dato adito a preoccupazioni in merito alla privacy: Life360 assicura di non lucrare sui dati dei minori di 13 anni, ammettendo però implicitamente che sopra quella soglia vale tutto.
Nulla comunque che non sia previsto dalle policy del servizio, non fosse per il fatto che l'informazione all'utente si esaurisce alla vendita dei dati ai broker, i quali possono poi rivenderli a chiunque per i fini più disparati. Tre passaggi che "puliscono" l'azienda da ogni responsabilità diretta. Sulla vicenda è intervenuto a The Markup Chris Hulls, il CEO di Life360, sebbene le sue dichiarazioni siano poco rassicuranti:
Consideriamo i dati una componente importante del nostro modello di business poiché ci permettono di offrire gratuitamente alla maggior parte degli utenti i servizi principali di Life360, compresi quelli che hanno contribuito ad incrementare la sicurezza delle persone alla guida e a salvare parecchie vite.
Life360 ha venduto dati sulla posizione, tra gli altri, a Cuebiq, Arity, Safegraph ed X-Mode, e proprio un dipendente di quest'ultima ha affermato che i dati forniti da Life360 sono considerati "preziosi" in virtù di "volume e precisione degli stessi". Alcuni dati avrebbero contribuito a ricavare delle tendenze sulla mobilità in "regime" di Covid-19, altri sarebbero stati girati dai broker al Dipartimento della Difesa USA, ma la sensazione è che le informazioni emerse possano solamente essere l'estremità visibile di un mondo sommerso.
"Se non lo stai pagando, allora il prodotto sei tu": se ci stupiamo per la vicenda di Life360 (e, dal momento che non è certo l'unica, per tutte le altre che dovessero venir fuori), allora questa massima dovremmo ripetercela più spesso.
Commenti
Biricchini
A ok, quindi bastava che te lo vendessero a 40€ per risolvere il problema!!!
Perché i tuoi dati gli fruttano poco
Credici
poco prima dell'acquisizione stavo per comprare un tile... menomale che ho preso tempo.
Ecco perchè Apple AirTag costa 35 euro e non 10/15.
mascalzoni