Square Enix: gli sviluppatori giapponesi non dovrebbero imitare quelli occidentali

20 Aprile 2022 11

Yosuke Matsuda, presidente di Square Enix, è stato recentemente protagonista di un'intervista molto interessante su Yahoo Japan, durante la quale è emerso un tema centrale all'interno del mondo videoludico giapponese: l'eccessiva tendenza al copiare lo stile occidentale. L'intervista ha anche toccato altri temi, tra cui la conferma che - come emerso nei mesi scorsi - Square è effettivamente interessata al mondo della blockchain e NFT, ma per questa volta vogliamo lasciar perdere questo aspetto per concentrarci sulla questione sollevata dal presidente di Square Enix.

Matsuda ammette che è fondamentale proporre esperienze di ogni genere per poter parlare ad un pubblico sempre più occidentalizzato, tuttavia afferma che quando uno sviluppatore giapponese prova ad imitare lo stile occidentale non può fare dei buoni giochi. Secondo Matsuda, infatti, lo stile giapponese che caratterizza le produzioni nipponiche - dal design dei mostri agli effetti visivi e audio - è da considerarsi quasi come un marchio di fabbrica che viene riconosciuto dai giocatori, ed è meglio che gli sviluppatori giapponesi si concentrino nell'esaltare queste caratteristiche, piuttosto che gettarsi in pallidi tentativi di emulazione di uno stile che non gli è proprio.

In generale Matsuda insiste sul fatto che sia necessario diversificare la propria offerta videoludica (motivo per cui crede che Square debba guardare anche al mondo della blockchain, visto che i giochi tradizionali "non basteranno in futuro"), tuttavia sembra anche voler dire ad ognuno il suo, e forse non ha tutti i torti.

IL PROBLEMA DEGLI SVILUPPATORI GIAPPONESI

Le parole di Matsuda dipingono uno scenario interessante, in quanto rimarcano la differenza stilistica che intercorre tra i titoli giapponesi e quelli occidentali: quando uno dei due prova ad imitare l'altro il risultato non è mai eccellente, tranne in alcune rare eccezioni.

Nel caso degli sviluppatori giapponesi questo aspetto è ancora più enfatizzato, in quanto in pochi hanno un contatto diretto con la realtà occidentale e ciò li porta spesso ad interpretarla in maniera quasi caricaturale, andando a rappresentarla attraverso il filtro della cultura giapponese che tende ad assimilare a sé stessa tutto ciò che proviene dall'esterno.

Tematiche sociali, caratterizzazione dei personaggi e molti altri elementi vengono distorti e diventano un qualcosa in cui difficilmente il giocatore occidentale si riconoscerà, visto che spesso si tratta della stereotipizzazione del modo in cui il Giappone vede l'occidente, nel quale solo il giocatore giapponese può ritrovare una conferma dei suoi bias cognitivi. Allo stesso modo, meccaniche come il grinding e il farming compulsivo - solitamente più apprezzate dal pubblico orientale - vengono normalizzate e inserite in ogni contesto quasi come vere e proprie attività di svago, ignorando del tutto il loro scarso appeal nei confronti dei giocatori del resto del mondo.

Il discorso di Matsuda è quindi molto semplice e in gran parte condivisibile: gli sviluppatori giapponesi non dovrebbero provare a imitare ciò che non conoscono, bensì dovrebbero concentrarsi nell'enfatizzare ciò in cui sono più bravi, ovvero esaltare la propria tradizione videoludica. Certo, qualche contaminazione esterna non è affatto da condannare, ma non al punto di snaturare completamente lo stile nipponico.

NON È UNA REGOLA ASSOLUTA

Ovviamente non bisogna mai fare di tutta l'erba un fascio ed esistono anche casi in cui gli sviluppatori giapponesi sono riusciti a proporre titoli di successo che non adottano uno stampo e un'estetica orientale. Basti pensare al caso di Resident Evil (specie i primi), in cui la presenza di elementi tipici della cultura giapponese - in modo particolare della maniera in cui è strutturata e raccontata una storia - è mascherato al punto da renderli quasi impercettibili ad un giocatore occidentale.

Ad esempio, l'utilizzo dei diari e dei documenti per raccontare parti di trama a cui il giocatore non assiste richiamano lo stile del genere nikki (nikki significa letteralmente "diario") che ha caratterizzato una fase della letteratura giapponese, durante il quale sono state composte raccolte (e guarda caso in Resident Evil tutte le note venivano archiviate all'interno di raccolte di file) caratterizzate da vere e proprie pagine di diario o di appunti quotidiani.

Allo stesso modo troviamo anche altri elementi tipici dell'horror giapponese, come ad esempio reinterpretazioni dei classici yokai e kaiju in una chiave più occidentale che si adatta meglio al contesto scelto per l'ambientazione. L'ultimo esempio più recente è quello di Lady Dimitrescu in Resident Evil Village, la cui figura ricalca sicuramente quella di un tradizionale vampiro occidentale, ma le forme e i comportamenti sono presi direttamente dallo yokai Hachishakusama (letteralmente "signora alta 8 shaku", circa 240 cm), il quale ha l'aspetto di una donna, è vestita di bianco, indossa spesso un grande cappello e ha un comportamento stalker simile a quello di uno slenderman.

UN ESEMPIO DEL PROBLEMA IN CASA SQUARE: FORSPOKEN

Un caso lampante di un titolo che invece sembra confermare in pieno i timori di Matsuda arriva direttamente da Square Enix e si tratta di Forspoken, sviluppato dal team giapponese Luminous Production. Sin dai primi trailer, infatti, Forspoken si è dimostrato come un titolo con grossi problemi nell'esprimere una propria personalità; da un lato emerge l'anima occidentale data dalla rappresentazione iper realistica delle strade di New York e dalla protagonista Frey (basata completamente sull'attrice Ella Balinska), dall'altro l'anima giapponese incarnata dalla tematica isekai che ha saturato all'inverosimile il mondo dell'animazione (isekai significa letteralmente "mondo diverso" ed è quel genere in cui il protagonista, generalmente un personaggio ordinario, viene trasportato in un mondo fantasy) o il bracciale senziente di Frey, che ricorda molto da vicino Grimore Weiss di NieR.

Non sappiamo se Forspoken sarà o meno un titolo godibile, ma sin da subito è facile notare come il gioco Square sembri incarnare alla perfezione l'esempio di ciò che viene contestato da Matsuda. In certi frangenti il gioco vuole parlare ai giocatori occidentali mettendoli a loro agio con protagonisti e ambientazioni che potrebbero risultare familiari, mentre in altri non riesce a trattenere il bisogno di attingere ai canoni dell'intrattenimento giapponese: vorrebbe essere un action jrpg ma è come se si vergognasse di esserlo a pieno, per paura di non risultare un prodotto appetibile per il pubblico mondiale.

È CAMBIATO IL MERCATO

Sicuramente il cambiamento del mercato ha inciso in maniera significativa per gli sviluppatori giapponesi, i quali hanno sempre lavorato pensando a prodotti che potessero piacere al pubblico interno, lasciando che a quello occidentale ci pensasse solo il team di localizzazione. Inevitabilmente ci si è ritrovati spiazzati nel momento in cui il Giappone ha smesso di essere il principale mercato e bisognava cominciare a tenere in considerazione anche l'esistenza del resto del globo per fare cassa.

Non essendo abituati a lavorare per una platea più ampia, è chiaro che il tentativo di far contenti tutti non può funzionare e che l'ibridazione di queste due realtà non produce risultati particolarmente soddisfacenti. Sicuramente la giapponesità rappresenta un valore aggiunto che una buona fetta di giocatori desidera e ricerca (basti pensare al successo globale di Persona 5), anche se ad oggi non rappresenta più la maggioranza. O meglio, forse non l'ha mai rappresentata, dal momento che un tempo la maggior parte dei team di sviluppo di rilievo erano giapponesi, quindi il pubblico internazionale l'ha semplicemente subita sino a quando anche le realtà occidentali non si sono imposte sul mercato.

Square Enix non deve certo faticare per trovare il bilanciamento giusto per parlare a tutte le realtà del mercato attuale, visto che la sua struttura le permette di rispondere in maniera efficace a questo scenario, anche se certe volte sembra dimenticarlo. Serie come Tomb Raider, Life is Strange o anche l'ultimo Marvel's Guardians of the Galaxy sono infatti gestite dai suoi team nordamericani e europei, i quali riescono con più facilità a confezionare prodotti maggiormente adatti al mercato globale.

Sarà quindi interessante capire come verranno accolte le parole di Matsuda in Square, ma sarebbe ancora più interessante conoscere il parere dei suoi colleghi a capo di altre realtà importanti come Capcom, Bandai Namco e tutte le altre grandi case giapponesi.


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Commenti

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Background 07122017

20 anni no, ma 10 si

Superstar never dies

Ho visto tanto giochini in cinese per smartphone. Roba proprio da otaku schifosi

Andrea

Come prima cosa potrebbe eliminare giacca, camicia e cravatta che fanno molto west...

Antsm90

"forse complice il fatto che le animazioni erano molto meno elaborate e spesso non c'era il doppiaggio"

This.
Son sempre stati così ma si notava meno

Antsm90

Bravely Default (ovvero FF3 con un altro nome) è bellissimo. Ma in generale per assurdo sono le produzioni principali ad essere uno scempio, quelle un po' più indipendenti (anche se sempre sotro Square Enix) escono solitamente bene

Antsm90

Ma infatti non ho mai capito sta cosa di voler copiare l'occidente. Il bello dei giochi asiatici (e della cultura asiatica in generale) è proprio la loro diversità dalle produzioni nostrane

Luigi

Soprattutto nessuno dovrebbe copiare Square-Enix. Dato che con il 2022 sono esattamente 20 anni che produce schife.zze sfruttando e snaturando i brand del passato. Magari le loro scelte avranno garantito utili più alti agli azionisti, io questo non lo so. Di certo dal punto di vista artistico il risultato delle loro politiche è stato disastroso.

Edom

"Matsuda, infatti, lo stile giapponese che caratterizza le produzioni nipponiche - dal design dei mostri agli effetti visivi e audio - è da considerarsi quasi come un marchio di fabbrica che viene riconosciuto dai giocatori"
Ha ragione al 100%

NaXter24R

Ci sta, e penso sia giusto guardare altrove invece che sforzarsi di fare un prodotto che non è il loro.

ErCipolla

Personalmente non apprezzo granché lo stile di storytelling giapponese che va di moda negli ultimi tempi. Troppo didascalico nell'esposizione; troppo melodrammatico, enfatizzato e caricaturale nella recitazione; per riassumerlo in una parola: troppo "anime".

Sicuramente è una questione culturale e in parte di localizzazione, oltre che di gusto, ma preferivo come facevano nell'era SNES/PS1, forse complice il fatto che le animazioni erano molto meno elaborate e spesso non c'era il doppiaggio, il che mascherava la recitazione gigionesca e melodrammatica. Ripeto: parere personale.

NaXter24R

L'errore è voler piacere a tutti. Due prodotti distinti per due mercati distinti. Se il prodotto poi piace, allora venderà.
Il problema è che a fare le vie di mezzo si fa invece del danno e basta, e negli ultimi anni siamo pieni di esempi, sia in ambito videoludico (e vale per ogni categoria di gioco, dal GDR al gioco sportivo) sia in altri ambiti

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