
25 Ott
Quod erat dimostrandum, il 2018 di Facebook si è presto trasformato in una tempesta perfetta che forse nemmeno i vertici del social network si aspettavano potesse colpire con siffatta veemenza. Insomma: ci avevamo visto giusto. Ma per carità, qui non si avanza alcuna pretesa di preveggenza, né si vogliono rimarcare a posteriori chissà quali doti di analisi.
Del resto bastava guardarsi intorno e annusare un po’ l’aria per capire che Mark e soci avevano superato un punto di non ritorno mediatico, oltre il quale nessun errore, per quanto giustificabile o in buona fede, sarebbe passato inosservato. Le inchieste giornalistiche degli ultimi nove mesi di buona fede ne hanno trovata ben poca.
Anzi: hanno messo a nudo la vera natura del social network di Menlo Park, ne hanno mostrato le più becere piccolezze e le trame oscure, quasi machiavelliane, macchinate da alti dirigenti come la (finora) intoccabile Sheryl Sandberg. Mark Zuckerberg, per suo conto, gettava benzina sul fuoco con interviste maldestre, pensate male e condotte peggio, ricche di esternazioni infelici e commenti che lo hanno fatto passare ora per un ipocrita, ora per un utile idiota, incapace - come contemporaneo Dr. Frankenstein - di contenere la potenza distruttiva della sua terribile e potentissima creatura.
In questa mia prima rubrica dell’anno nuovo ripercorro la cronistoria degli scandali, degli incidenti mediatici e dei punti più bassi toccati da Facebook nel corso degli ultimi 365 giorni. Sicuri che questo 2019 ce ne riserverà altrettanti.
L’attenzione mediatica, fino alla fine dello scorso anno, si era concentrata quasi interamente sulle crisi e sugli scandali che riguardano i mercati occidentali in cui Facebook è una piattaforma fra le altre. Nel corso del 2018, però, abbiamo visto delinearsi con sempre maggior chiarezza le conseguenze della diffusione di Facebook in paesi in via di sviluppo dove il social network di Mark Zuckerberg si è affermato in sostituzione quasi totale al Web.
Il caso del Myanmar è in assoluto il più grave: Facebook, grazie alla diffusione della propaganda governativa e alle false notizie il social network ha contribuito a fare da cassa di risonanza al sentimento anti-musulmano che alimenta le terribili violenze sulla minoranza Rohingya, nel nord del paese. Il social network, aspetterà alcuni mesi - fino a novembre - prima di ammettere le proprie responsabilità in Myanmar. L'ex Birmania non è l’unico paese dove la diffusione di Facebook va a braccetto con le violenze etniche: in Sri Lanka il governo ha ordinato la chiusura del social network e di WhatsApp per limitare le violenze contro la popolazione musulmana.
Le rivelazioni su Cambridge Analytica hanno spinto il Congresso americano ad aprire un’inchiesta. Ad aprile Mark Zuckerberg si è presentato a Washington per testimoniare di fronte alla commissione del Senato e ha finito per uscirne da vincitore, dimostrando la totale ignoranza tecnologica della maggior parte dei senatori e delle senatrici statunitensi. I legislatori che avrebbero dovuto mettere alla gogna Zuckerberg hanno finito per non scalfire minimamente la sua aura di genietto del computer. La figura peggiore l’hanno fatta i senatori Repubblicani, che invece di preoccuparsi delle conseguenze dello scandalo sulla privacy dei cittadini hanno continuato a incalzare Zuckerberg sulla presunta censura delle voci conservatrici sulla piattaforma.
Per provare a limitare i danni delle pubblicità a sfondo politico, a maggio Facebook ha riorganizzato il sistema degli ads per garantire una maggiore trasparenza. Si dice che delle migliori intenzioni sono lastricate le vie dell’inferno: per Mark Zuckerberg e i suoi mai proverbio fu più vero. Pensato per limitare le critiche e le polemiche, l’aggiornamento della piattaforma pubblicitaria ha subito ottenuto l’effetto opposto: banner a favore di associazioni LGBT sono finiti dentro il calderone degli ad politici, insieme a pubblicità di marchi che hanno la sfortuna di condividere il nome con quello di qualche politico famoso.
Passa un mese soltanto ed ecco che emerge un altro scandalo, ancora una volta grazie a un’inchiesta del New York Times. Nel corso degli ultimi anni Facebook ha stretto accordi speciali con altre grandi aziende del settore I.T., da Apple a Samsung, da Microsoft a Amazon, per condividere - a pagamento - i dati degli utenti.
Secondo il Times gli accordi speciali riguardano almeno 60 produttori di smartphone e tablet. Per Facebook lo scopo era la crescita del parco utenti, mentre ai produttori di dispositivi veniva concessa la possibilità di integrare in maniera più profonda alcune delle funzioni più popolari del social network, come i like e le condivisioni. Nulla di nuovo sotto il sole, se non che simili accordi violerebbero un’accordo fra l'azienda di Menlo Park e la FTC del 2011 sulla protezione dei dati personali degli utenti.
Nel frattempo, a seguito di indagini interne, Facebook conferma con un documento al congresso di aver concesso forme speciali di accesso ai dati degli utenti a varie aziende anche dopo i cambiamenti alle policy sulle API del 2015. Fra le aziende in questione c’era anche Mail.ru, gigante dell’I.T. russo il cui principale investitore, fino a ottobre 2018, era Alisher Usmanov, un fedelissimo di Putin.
Nel caso degli scandali di Facebook, tout se tiens: alla fine di luglio l’azienda conferma di aver scoperto altri 32 account chiave legati all’Internet Research Agency, talmente ben celati da essere sfuggiti ad un primo controllo. Ad agosto la prima azione degna di nota: Facebook banna definitivamente la pagina di Alex Jones, cospirazionista reazionario che aveva continuato a imperversare sulla piattaforma nonostante la continua violazione degli standard della comunità con le sue invettive violente e cariche d’odio per la Clinton e i democratici.
Anche una decisione positiva, però, non contribuisce a migliorare la posizione di Facebook: Zuckerberg e soci infatti decidono di cacciare Jones soltanto dopo che YouTube e Apple hanno deciso di fare altrettanto. L’agosto caldo di Menlo Park continua poi con la scoperta che le scorrerie social sulla piattaforma non le conducono solo i russi: ci sono anche gli Iraniani. Grazie alla segnalazione di una società di sicurezza informatica, gli esperti di sicurezza di Facebook chiudono un network di circa ottanta account collegati al governo di Teheran che impiegava strategie propagandistiche simili a quelle dei troll del Cremlino.
La fine dell’estate porta le prime importanti conseguenze del nuovo clima mediatico. A fine luglio la possibilità di un rallentamento della crescita degli utenti e dei profitti previsto per il 2019 riesce a infliggere alle azioni di Facebook quella stoccata che gli scandali degli ultimi sei mesi non avevano ancora causato. A settembre, poi, la prima defezione importante: se ne vanno i due fondatori di Instagram, Mike Krieger e Kevin Systrom. In un’intervista rilasciata qualche settimana più tardi Systrom confermerà che l’addio è legato a una forte diversità di vedute sul futuro del social network per immagini che Facebook acquisì per un miliardo di dollari nel 2012.
A chiudere un settembre da dimenticare ci pensa un nuovo incidente: Facebook rivela che grazie a una serie di bug nel sistema di login, alcuni hacker non meglio identificati sono riusciti a impossessarsi dei dati di circa 30 milioni di utenti. In questo caso, a differenza del caso Cambridge Analytica, neppure gli esperti del social network sono stati in grado di scoprire i colpevoli. Un’indagine dell’FBI è ancora in corso, mentre il bug che ha permesso l’accesso agli account senza autorizzazione è stato subito chiuso. Come misura estrema contro uno degli hack più gravi della sua storia, Facebook ha immediatamente eseguito il logout forzato di circa 90 milioni di utenti, garantendo al caso un inevitabile clamore mediatico.
Mentre l’anno volge al termine, le bordate mediatiche contro Facebook raggiungono il parossismo. Una nuova inchiesta del New York Times, frutto di mesi di lavoro e investigazione, rivela le strategie subdole con cui Sheryl Sandberg, direttrice delle operazioni, ha provato a limitare i danni dello scandalo dei troll russi. Sandberg avrebbe impiegato una società di propaganda politica americana, Definers Public Affairs, per attivare una campagna denigratoria contro il miliardario George Soros, uno dei più feroci critici del social network. Secondo l’inchiesta Sandberg ha inoltre contribuito a ritardare le rivelazioni sulle ingerenze russe, sottovalutando i pericolosi segnali d’allarme lanciati già nel 2016 da Alex Stamos, allora responsabile della sicurezza della piattaforma.
Quelle pubblicate a novembre dal New York Times sono le accuse più circostanziate mai scagliate contro la numero due di Facebook. Per tutta risposta l’azienda si è stretta in difesa del suo cerchio magico, con una risposta ufficiale pubblicata in tutta fretta che non chiariva in alcun modo le accuse, ma anzi ne travisava in alcuni casi addirittura il senso. Un segno di grave nervosismo da parte di una dirigenza finora molto composta nel rispondere ai continui e circostanziati attacchi dei media.
La reazione non è servita a nulla per limitare il danno gravissimo all'immagine di Sheryl Sandberg, eroina di un nuovo femminismo liberal che si batte per la parità nei luoghi di potere e per favorire l'ascesa delle donne in posizioni dirigenziali.
Per uno dei casi più emblematici dell’anno bisognerà aspettare dicembre: è un intrigo internazionale che coinvolge un’app per scoprire le foto in bikini delle amiche e una giornalista dell'Observer. Nel 2015 un’azienda chiamata Six4Three ha fatto causa a Facebook per aver bloccato la sua app Pikini con le modifiche delle API del 2015, le stesse che hanno impedito ad app come quelle di Cambridge Analytica di pescare a strascico fra i dati di milioni di ignari utenti.
Il merito della causa è trascurabile: quel che conta è che nell’ambito del procedimento la corte aveva acquisito un gran numero di email confidenziali fra i dirigenti del social network. Quei documenti sono finiti nelle mani di una commissione parlamentare britannica, che a sua volta li ha ottenuti da Ted Kramer, il capo legale di Six4Three, “sorprendendolo” a Londra durante un viaggio di lavoro. A informare la commissione della presenza di Kramer a Londra sarebbe stata una giornalista freelance che aveva già lavorato per il Guardian all’inchiesta su Cambridge Analytica. Il New Yorker ha ricostruito la storia, degna di una spy story.
Il Presidente della commissione, Damien Collins, ha proceduto poi a pubblicare i documenti, sostenendo che gli ordini di segretezza emessi dal tribunale californiano su richiesta dei legali di Facebook non avessero alcun valore nel Regno Unito. Le 250 pagine di email rivelano inconfutabilmente che Facebook, dopo i cambiamenti della API nel 2015 ha proceduto a creare una “lista bianca” di aziende partner come Netflix, Lyft e Airbnb, a cui era consentito di accedere più in profondità alle informazioni degli utenti e dei loro amici. Questa era per altro la tesi di Six4Three, e cioè che Facebook aveva fatto distinzioni arbitrarie e anticoncorrenziali dopo aver modificato la Graph API nel 2015.
Non è tutto: i documenti hanno rivelato anche che un aggiornamento dei permessi per l’app Android era stato distribuito al solo fine di raccogliere i messaggi di testo e la lista delle chiamate (previa autorizzazione dell’utente tramite il tipico boxino di dialogo).
Come concludere in bellezza l’anno peggiore della storia di Facebook se non con un altro di succosi scandali e incidenti mediatici? Dopo l’hack di settembre, all’inizio del mese Facebook rivela un altro accesso non autorizzato alle informazioni degli utenti. In questo caso gli account coinvolti sono 6,8 milioni e la colpa è di una falla nella API per la condivisione delle foto.
L’aspetto più preoccupante è che il bug è recente ed è stato introdotto con un aggiornamento del 13 settembre e poi chiuso il 25 settembre. Le date parlano chiaro: Facebook, nonostante sapesse della falla, non ha rivelato nulla se non due mesi più tardi. La nuova normativa europea sulla protezione della privacy (GDPR) prevede l’obbligo per le aziende di rivelare entro 72 ore dalla scoperta le eventuali falle o gli accessi non autorizzati alle informazioni degli utenti. Il caso è ancora aperto e sapremo soltanto nel 2019 come l’Europa deciderà di agire in merito. Sarebbe, ad oggi, il primo caso di applicazione delle pesanti sanzioni previste della GDPR.
Come se non bastasse, il 18 dicembre il New York Times gioca un altro carico: una nuova inchiesta rivela che più di 150 aziende - inclusi Amazon, Microsoft, Netflix, Spotify e altri grandi nomi - hanno avuto accesso a informazioni riservate che gli utenti non pensavano di condividere. La scoperta si collega alle rivelazioni dei documenti della causa Pikini e dimostra che nonostante le rassicurazioni di facciata sulla mission aziendale Facebook ha continuato per anni a mercanteggiare i dati dei propri utenti.
L'annus horribilis si chiude con la reprise di un altro grande classico: il pasticciaccio brutto del sistema di moderazione interno basato sui famigerati standard della comunità. È ancora una volta il New York Times a condurre l’orchestra: il giornale rivela di aver acquisito e visionato più di 1400 pagine di manuali destinati ai moderatori della piattaforma. Ne viene fuori un quadro desolante, con regole spesso improvvisate, moderatori impreparati e sfruttati costretti a prendere decisioni sui contenuti nel giro di pochi secondi e un’incapacità generale di adattare delle norme spesso monolitiche alle differenze culturali e linguistiche.
I giornalisti del Times hanno scoperto inoltre che le regole contengono errori e pregiudizi, spesso con conseguenze molto pesanti. La categorizzazione di un movimento radicale birmano, ad esempio, ha permesso ai seguaci dell’organizzazione di diffondere odio e contenuti violenti contro i Rohingya per mesi e mesi prima di un’azione concreta da parte del social network.
I moderatori sono spesso ragazzi giovani, impiegati da aziende cui Facebook subappalta un lavoro tanto importante quanto complesso e fondamentale. Persone impreparate psicologicamente e tecnicamente, che si trovano a dover prendere decisioni rapide su temi fondamentali, che spesso possono influenzare in un modo o in un altro la situazione politica di un intero paese.
L'inchiesta sui moderatori è la degna conclusione di un anno in cui abbiamo capito che, per quanti sforzi Zuckerberg e i suoi possano fare, non riusciranno mai davvero a cambiare Facebook. È la natura stessa della piattaforma a generare i problemi che la affliggono. Non è più possibile credere ai mea culpa di Zuckerberg, né ha più senso concedere ai dirigenti di Menlo Park il beneficio del dubbio. Il 2018 ha dimostrato che tutte le buone intenzioni millantate nel corso degli ultimi due anni erano solo lacrime di coccodrillo e vacue promesse.
Non si può continuare a sperare che siano Zuckerberg, Sandberg e i loro fedelissimi, cioè i responsabili ultimi di quanto abbiamo visto succedere quest’anno, a riformare le storture strutturali della piattaforma che hanno creato e contribuito a sviluppare. Speriamo quindi che nel 2019 le istituzioni - a partire da quelle Europee - si decidano a fare il proprio lavoro e producano nuove regolamentazioni più stringenti. Serve un argine allo strapotere di un leviatano che - è finalmente il caso di dirlo, senza mezzi termini - ha contribuito a deteriorare il tessuto sociale e accelerato tendenze pericolose che vanno a detrimento del dibattito democratico. Una tecnologia tanto potente quanto pericolosa, con i suoi aspetti e usi positivi, che però non riescono più a compensarne gli effetti nefasti. Una piattaforma che vorrebbe "unire il mondo" ma che contribuisce a nuove tensioni e divisioni sociali nel nome dell'engagement.
Andrea Nepori è un giornalista freelance esperto di tecnologia e culture digitali.
Scrive per La Stampa, HD Blog e altre testate. Vive a Berlino.
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Commenti
Non fanno prima a chiudere?
Allora viva Instagram e abbasso Faccialibro.
E spero che fessobuco sparisca dall'orizzonte informatico.
ma cosa c'entra se è suo? ho scritto facebook, facebook deve chiudere e ben presto penso accadrà, ma instagram è un'altra cosa,se andrà male anche quello allora chiuderà pure inst
Vedere un cinquantenne che prima ti insultava se eri giovane e non conoscevi il quarto passaggio del canto di Dante o se scrivevi agli amici i messaggi con le “ch” abbreviate scrivere oggi su Twitter in un linguaggio da scimmia usando pure simboli telefonici @*# $+%= non ha prezzo. Una pezzentaggine assoluta e totale. Dovrebbe seppellirsi dalla vergogna, invece preferisce infierire (sempre rigorosamente su internet) sui ragazzini che non capisce
Mai stato più d'accordo.
Vabbè manco hai letto il commento. Cosa c'entra l'essere laureato e gli accenti.
Hai detto caxxate e ignorato il mio commento. Ho detto chiaramente come stanno le cose poi se la tua università fa diversamente e voi non vi lamentate non sono affari miei.
Prossima volta accetta la realtà dei fatti perché non funziona come hai descritto tu (e ci mancherebbe aggiungo, con quello che paghiamo).
Ti saluto.
A sensazione ci stanno già andando.
vendere tutto ? vende aria fritta? il patrimonio enorme di Zuckerberg sono esattamente le azioni di facebook. Il giorno in cui andrà via lui perderanno di valore? aumenteranno ?
è uscito qualche mese fa, aspetto un po' e vediamo che succede.
ma chi si lamenta, io riporto quello che succede e non accetto che la si faccia facile solo perchè è tutto risolvibile. Tu non hai la minima idea di quanto ci siamo spesi per far cambiare le cose e di quanto anche le associazioni siano colluse, ma i soliti professori sono protetti dall'alto. Io non giudico le esperienze altrui, anzi spero che siano diverse dalla mia e dei miei colleghi, tuttavia prendi atto che non sempre ciò che si dovrebbe fare o che si vorrebbe è realizzabile. Se nel tuo ateneo non è ammissibile non significa che altrove non lo sia. Prima lo capisci, prima la finiamo co sta discussione di cui non fr3ga niente a nessuno
riccardopiccinato already read
Vendere tutto e ritirarsi a vita privata con la famiglia no eh!!!accidenti devono impazzire dietro a previsioni, dividendi, acquisizioni e soprattutto dietro a pensieri del tipo : cattzzo ho perso 15 miliardi come recuperarli...???stress, depressione...attacco cardiaco e pammmmmm.....morto!
Succede ,
auguri
speriamo che chiuda presto!
La gente che scrive usando il linguaggio di Twitter mi sembra completamente ****ta. Non tu eh ci mancherebbe, ma persone adulte che scrivono con tutti quegli acronimi e chiocciole ...semplicemente patetici
Quando internet lo usavano quelli della mia età (ho 23 anni) 9/10 anni fa era uno strumento e lo si usava per giocare o comunicare. Oggi che è diventato popolato da quelli che 10 anni fa urlavano contro i ragazzi dandogli dei malati e dei dipendenti (gli stessi abbonati alle macchinette al bar e al lotto) oggi hanno trasformato internet in un buco di odio, violenza, pubblicità e rimbecillaggine totale e globale.
Gli stessi giornalisti che infangavano i ragazzini di prima oggi fanno interi servizi sui “social”, idem politici falliti che credono di lasciare il segno.
Facebook deve chiudere perché è il primo colpevole.
Ad un collega di mia moglie , credo gli abbiano clonato l'account , e si e ritrovato con 1500 amici in più , tutti musulmani e gay
Visto perché , secondo me , non arriverà mai in itaIta
Grazie, attendo un servizio legale :)
cosa c'entra? se chiude facebook automaticamente deve chiudere anche instagram che invece ora è molto più diffuso??
non ha senso
Cb01
Dove lo trovo? Intendo, è presente su qualche servizio di streaming tipo netflix & co?
ma invece proprio no, perchè su facebook oltre alle foto ti becchi pure le "parole" almeno su ig son solo immagini...
ma che c'entra il collegamento con l'intelligenza artificiale? qua i problemi della programmazione al massimo sono la visibilità delle notizie, cosa che comunque anche con la timeline cronologica avrebbe dato risalto alle notizie mendaci (magari con un impatto leggermente minore? chi lo sa) il punto qui non è il software ma l'uso che ne fanno le persone, quindi si dovrebbe intervenire educando le persone, ma la storia dell'umanità c'insegna che la cultura non ha ancora vinto nessuna battaglia....
esatto da quando hanno tolto l'ordine cronologico (cosa poi introdotta anche su instagram) hanno avuto il crontollo di tutto, infatti basterebbe quello per cambiare radicalmente le informazioni che tutti possono vedere
quindi un non social network
Dormo talmente tanto che mi son svegliato direttamente laureato qualche anno fa, daje basta. Usi accenti a caso, credi di essere il Che, penso possa concludersi qui la discussione. Buona Epifania.
ti faccio un esempio, giorni fa ho fatto un "Duck DNS" che obbligava l'uso di google, twitter o un'altro servizio... allo stesso modo in passato mi era capitato qualcosa di simile con facebook o twitter..
Theatre of Pain dei Mötley Crüe. Oggi non ascolto più quel genere, ma sono stati tra le mie prime scoperte musicali adolescenziali.
Tipo quali ?
Se te dormi colpa mia non é. O se la tua università é organizzata da fare schifo colpa mia non é.
Ma sappi che se avessi studiato nella tua università e ci fossero stati questi problemi, stai tranquillo che sarei bastato solo io con le mie lamentele a far cambiare la rotto.
Evidentemente a voi studenti, in quell'università, vi va bene così.
mi pare che si possa intervenire per annullarle dalle opzioni
A mio avviso per eliminare le storture sarebbe già un passo avanti rendere privati i post e le condivisioni di Facebook, ovvero visibili solo ai propri amici. Niente tag per gli amici degli amici, niente post pubblici che chiunque può leggere. Insomma, un Whatsapp più articolato nelle funzioni
Nel senso che se attaccano i server di Facebook e cancellano tutti gli account sarebbe stupendo.
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Spiritosone... mi sa che non hai capito di cosa sto parlando
Quello che potrebbe salvare facebook sarebbe un ritorno alla timeline cronologica e l'addio all'algoritmo che l'ha fagocitato, quello studiato ad hoc per far pagare gli ads a qualsiasi pagina!
Se domani rimettono tutto come 5 anni fa il social riparte senza problemi.
Davvero un bel libro uno, nessuno e centomila. Ho apprezzato tante opere di Pirandello, grazie al fatto di aver abbandonato il pregiudizio che mi si era formato a scuola (quanti autori schifati nella minore età e poi apprezzati da adulto).
Ps, giusto per curiosità: a quale album ti riferisci?
Secondo me una delle cose che potrebbe salvare facebook, come qualità della piattaforma intendo non mi inoltro negli altri campi, è togliere il tab "condividi".
Pensateci, tutti lo odiamo, è la fiera delle m1nch1ate e dei contenuti triti e ritriti, sempre le stesse immagini, battute, che ci uniforma in un modo grottesco e sbagliato.
Se non ci fosse il tab condividi, sarebbe meno immediato, aprire la fonte e copia incollare. il 90% delle str0nzate non verrebbero condivise e così meno spam e meno uniformazione, più contenuti originali degli utenti o comunque personali.
disqus_yGrHD7UZUC why
Ottimo vuol dire che è arrivato il momento di acquistare azioni di Facebook a basso costo.
Bene, ho letto abbastanzzza
Bhe.. dipende. Se ci inciampi sei fregato
Sicuramente sono servizi non assolutamente necessari, quindi ancora, non vedo il problema
Si ma non é lo standard, capisci si che sono casi isolati?
", non sono l'ordinarietà ma per la maggiore va così"
A parte la contraddizione di questa frase che hai scritto, hai detto bene: non é l'ordinarietà.
Quindi tutto quello che fino ad ora hai detto, riguarda la non ordinarietà, l'eccezzione...
Premesso che l'ho studiata tanti anni fa, c'era una teoria sociologica che si rifaceva al concetto di varii tipi di maschere che si indossano a seconda del gruppo di riferimento. Ovviamente devo specificare che, in questi casi, "maschera" non ha una valenza negativa o positiva, è solo la definizione di una condizione che si verifica nel sociale